Chiara a Scardicchio a Ruvo per "Madri": il senso della vita fra tragedia e bellezza

La storia di Serena, una bambina bellissima, con un ritardo mentale gravissimo. La presentazione di Madri tra filosofia e vita privata

giovedì 22 settembre 2016 07.00
A cura di Grazia Ippedico
Premessa necessaria: in dieci anni di questo mestiere non mi sono mai permessa di scrivere in prima persona. Siamo dei giornalisti, dei reporter: riportiamo i fatti. Senza dubbio diamo ai fatti colore, diamo la nostra visione ma non si scrive mai in prima persona. Parlano in prima persona gli opinionisti, le grandi firme. La consapevolezza di essere piccoli in un mare di giganti mi ha sempre dato un senso di protezione e coraggio. Ma questa volta è diverso. Scrivo in prima persona dell'esperienza vissuta durante la presentazione del libro "Madri" di Chiara Scardicchio, perché non ha senso nascondermi dietro uno stile impersonale: questa recensione non sarà obiettiva. E non è nemmeno una recensione: il libro non l'ho ancora letto.

Mi è successo svariate volte di commuovermi davanti ad uno spettacolo teatrale, ad un'opera, al cinema. Mai durante la presentazione di un libro. L'assessora FIlograno l'ha presentata e l'ha descritta come un dono che faceva alla città di Ruvo. Presuntuosa, ho pensato io. La direttrice del Museo, Elena Saponaro, ha tessuto le sue lodi, la delicatezza del suo scritto. Parole meravigliose per una donna con una conoscenza e uno spessore culturale fuori dal comune. Docente universitaria, ricercatrice, scrittrice. Ok, ho pensato io, bel curriculum... andiamo avanti.
A mia discolpa ci sta una lunga esperienza in fatto di presentazione librarie. Non tutte eccezionali, consentitemelo.

Ebbene, quando Chiara Scardicchio ha iniziato a parlare io sono stata completamente rapita. Ha una voce dolcissima e mansueta. Sguardo pulito, viso freschissimo. Mi chiedo, quanti anni avrà? Ne avrà fatti trenta? Immagino di sì. Una proprietà di linguaggio puntuale, ma diretta e comprensibile. E inizia a parlare di sé. "Madri" non è un libro concepito come libro. E' una cosa che Chiara ha scritto per sé. Una sua amica poi la spinge a pubblicare. Ci sta, penso io. Conosco un sacco di gente che scrive per sé. Ma ecco, inizia a parlare. A raccontare di se stessa.

Chiara Scardicchio era balbuziente da piccolina, ma le parole sono state sue amiche. Sua madre non l'ha mai approvata, non l'ha mai compresa e per strappare un sorriso alla mamma, per scoprire negli occhi uno sguardo di consenso, Chiara combatte per eccellere in tutto. E' la più brava della classe sempre. Fino all'università dove l'unico voto apparso sul suo libretto è il trenta. Spesso con lode. Ha faticato tanto per vincere la cattedra (senza raccomandazioni, ci tiene a precisare). E' spinta dalla ricerca della perfezione. Chiara è così, cresce così, superando i suoi limiti. A trent'anni ha una bambina, Serena.
Sono una mamma anche io. La capisco. Inizio ad appassionarmi sul serio a questa storia. Storia che sa di sud, con detti e locuzioni dialettali, storia che in qualche modo appartiene a tutti, anche a me. E quella che era una bimba balbuziente adesso davanti ad una platea numerosissima si scioglie in un fiume di parole. Quasi invidio la sua padronanza, la capacità di tenere altissima l'attenzione degli astanti.

Racconta delle centinaia di libri che ha comprato: «collezionavo tante storie da poter leggere a mia figlia, mia madre non l'aveva mai fatto con me. Pronta a crescere la bambina come sognava sin da piccola, Chiara va a sbattere contro un muro di silenzio e disperazione: Serena, una bambina bellissima, ha un ritardo mentale gravissimo e uno sviluppo cognitivo inferiore ad un bambino di un anno. In più ha una forma grave di autismo. Serena adesso ha 13 anni. Tutte le parole intorno alle quali aveva creato il suo mondo, le parole che l'avevano resa libera adesso sono completamente inutili. La vita non le dà scampo.

«Pensate al giorno di dolore che uno ha, pensate alla sensazione di impotenza. Io non sapevo fare altro che lamentarmi. Povera me, povera me. Quando siamo dentro il nostro dolore diventiamo estremamente arroganti. Vediamo solo il nostro dolore. Facciamo un elenco di tutte le cose non vanno, le cose che non abbiamo. Ecco la strada maestra per l'infelicità. Serena non studierà, non si laureerà, non si sposerà non avrà mai una famiglia. E mi sono resa conta con uno shock enorme che stavo guardando Serena con lo stesso sguardo con cui mia madre guardava me.»

E qui, tutti, io ma anche chi era con me, nel pubblico ha tremato. Chi di noi non ha mai temuto la stessa cosa? Ritrovare i difetti dei propri genitori? "Io presumevo di sapere cosa era giusto per mia figlia" La fatica più grande per un genitore è capire che un figlio è altro da sé, e che la felicità non è quello che i genitori pensano sia la felicità per i loro figli. Chiara racconta infiniti aneddoti della sua vita. «Quello che Serena mi ha tolto quando mi ha tolto tutto, è la presunzione.» Chiara riesce a sorridere. Riesce a gioire e ne è soddisfatta. Ne è contenta. Perché la Scardicchio capisce ad un certo punto che non salverà la figlia: nulla è sotto il nostro controllo. Quello che possiamo fare è la ricerca della bellezza! La forma della vita è la complessità, la via è nel possibile. Io posso essere libera, ed essere viva. Ho vissuto la mia vita solo nella mia testa, nel continuo lamento, nella continua ricerca di qualcosa, di ipotesi e vuoti. Serena mi ha insegnato a vivere radicata nel momento. Prima di Serena, grazie non lo sapevo dire. Mi avevano insegnato a stare al mondo o triste o incazzata.

«Quello che era una disgrazia ora vi posso dire che è la grazia. Cerco la bellezza nelle cose piccole. Ci sono persone che additano le foglie che cadono. Io adesso cerco le persone che cercano le gemme che spuntano sugli alberi. La forma della vita si divide tra tragedia e bellezza e noi siamo quello su cui posiamo maggiormente lo sguardo ed io questo l'ho imparato da una bambina che non sa né leggere né scrivere.» Chiara ha deciso di sorridere alla vita. Di essere una madre sorridente. Una madre che danza, come avrebbe voluto vedere danzare sua madre, e tutte le madri del mondo. Chiara danza, perché Serena e tutti i figli del mondo ha bisogno di una madre che danzi. Che abbia sul volto un sorriso sincero.

Sarà per questo motivo, credo, o per come racconta la sua storia, per quanto cuore ci mette, che non riesco più a staccare le orecchie, gli occhi, il cervello, il cuore da questa donna. Trattengo a fatica le lacrime e non perché sia una storia triste. Questa è una storia di forza e resurrezione. Chiara racconta ed io le invidio la forza e l'intelligenza e il coraggio che ha avuto. Chiara ha iniziato a studiare tutte le madri che le sono capitate a tiro, e ha scritto di loro Non c'è un fiato, un chiacchiericcio, un colpo di tosse. Sono tutti ipnotizzati da questa donna, esile con la voce dolcissima e un simpatico accento barese, per un'ora e mezza. E quando smette di parlare, mi verrebbe di chiederle del marito, se ha avuto la sua stessa forza, mi verrebbe di chiederle come sono i suoi attuali rapporti con la madre, ma l'unica cosa che mi viene naturale fare è comprare il libro, ringraziare e andar via. Stasera ho da fare. Devo leggere Madri.