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A scuola dal 7 gennaio? I docenti: «No, rimandare per salvare vite»

Mancanza di sicurezza e infrastrutture inadeguate fra le preoccupazioni degli insegnanti

Il Coordinamento Nazionale dei Docenti della disciplina dei Diritti Umani segnala ulteriori preoccupazioni in merito all'apertura delle scuole il 7 gennaio per le continue dichiarazioni espresse da svariati esperti che creano molta confusione e ansia tra i docenti ed il personale scolastico, in quanto spesso discordanti con la posizione del Ministero dell'Istruzione.

Un esempio, le parole del presidente dell'Ordine dei Medici Filippo Anelli: «Se facciamo la zona rossa possiamo mandare i ragazzi a scuola. Se davvero tutti stanno a casa, riducendo così la pressione sui trasporti, e se i ragazzi non possono aggregarsi fuori, i sistemi di tutela messi a punto all'interno delle scuole possono funzionare. Diversamente abbiamo visto che il sistema non ha funzionato, e che aprire le scuole comporta un aumento della diffusione del virus».

«Il professore Galli qualche giorno fa si è espresso in modo inequivocabile: la scuola non andrebbe riaperta il 7 gennaio e anche il coordinatore del CTS, Agostino Miozzo, dichiara "la situazione è ancora critica e instabile". È di poche ore fa, inoltre, la notizia secondo la quale nella sola regione Lazio ci sarebbero stati oltre 10.000 alunni contagiati. Il Sud d'Italia, poi, è stato meta di cospicui flussi migratori non regolamentati. Si spera siano state rispettate le regole comportamentali, ma solamente dopo un paio di settimane dal rientro dalle vacanze natalizie si potrà realmente comprendere l'entità del "danno"» - scrivono i docenti.

Tendenzialmente - sottolinea il Coordinamento - vengono messe in evidenza inefficienza e inadeguatezze delle infrastrutture e dei vettori preposti alla mobilità delle persone (regionali, provinciali e comunali), alle quali le singole scuole, i prefetti e i sindaci sono chiamati a far fronte soltanto attraverso gli ingressi differenziati; misure sicuramente insufficienti rispetto alla curva epidemica in costante aumento quotidianamente.

«I Governi di Gran Bretagna e di Germania, sentiti i pareri dei propri esperti, chiudono per altri dieci/28 giorni le scuole (18 gennaio, l'Inghilterra; 31 gennaio, Germania).

Secondo un'indagine statistica elaborata dallo statistico Livio Fenga, l'impatto della riapertura della scuola a settembre sulla diffusione del Coronavirus sarebbe quantificabile in oltre 225.000 casi. Attualmente, in tutta Italia, la curva dell'epidemia di Covid-19 sta tornando a salire. Se non sono mutati gli scenari (non è stata ridotta la ratio alunni - docenti, non sono state fornite mascherine ffp2, non sono stati introdotti nuovi sistemi di areazione delle scuole, per il vaccino occorre attendere maggio-luglio), come si può ipotizzare un azzeramento o, quantomeno, una riduzione dei contagi nel settore scolastico nel periodo gennaio-marzo, notoriamente periodo di maggiore diffusione di virus influenzali?» - si chiede il Coordinamento.

«Non riusciamo a comprendere l'ostinazione con cui ci si stia affrettando in Italia ad aprire indiscriminatamente tutte le scuole, senza tenere conto delle realtà territoriali che, ribadiamo, sono profondamente differenziate e complesse nel nostro Paese.

Contraddittoria appare anche la definizione del piano vaccini che sembra essere in contrasto con il piano di rientro.

Risulta palese la discrasia tra la pressione al rientro fondamentalmente pubblicizzata sulla scorta di un mai accertato scientificamente basso rischio per i docenti ed il piano che individua nei mesi di giugno-luglio il periodo di somministrazione del vaccino per i docenti. Se, dopo le numerose e reiterate richieste di specifiche e ulteriori misure da parte del nostro ente (come la somministrazione di mascherine ffp2 e ffp3, l'attivazione di sistemi di purificazione dell'area, la riduzione della ratio alunni-docente, etc.), l'unica misura prevista resta quella del vaccino, coerenza imporrebbe la riapertura delle scuole dopo il completamento dell'iter di somministrazione dello stesso.

A ben vedere, si tratterebbe di attendere solo 40-60 giorni lavorativi, un periodo decisamente accettabile, se si considera il numero di vite che si possono salvare.

La scelta opposta, quella del rientro, non fa che aprire le porte alla diffusione di germi patogeni con il rischio di far incorrere il soggetto competente nel corrispondente livello territoriale in responsabilità di varia indole, non solo politica».

La preoccupazione del CNDDU è che gli enti regionali e locali potrebbero vedersi destinatari di numerose azioni in sede penale e civile, non essendo l'orientamento nazionale sufficiente a tutelare la posizione giuridica del singolo organo decisionale. «Valga, ricordare che lo strumento DPCM è stato considerato incostituzionale, con la conseguenza di lasciare "scoperti" ad eventuali azioni Presidenti di regione, Prefetti, Sindaci e delegati».

«Non si tratta nemmeno di "arrendersi" come taluni hanno impropriamente osservato, - precisano i docenti - ma di adottare la migliore strategia per vincere la "battaglia" contro il Coronavirus. Quando si è privi di "armi" per combattere, o quantomeno di "scudi" per proteggersi, non basta né il "coraggio", né la "vocazione docente" a rendere immuni.

Si sta chiedendo ai docenti di rientrare a scuola senza strumenti di protezione (che, invece, vengono forniti a medici, biologi, cassieri di supermercato, etc.), senza sistemi che garantiscano il ricambio di aria (come avviene, invece, negli ospedali, ma anche nei supermercati). Occorre comprendere, una volta per tutte, che la vita di un solo docente, quella di un solo alunno o di un familiare, vale sicuramente l'attesa di poche settimane.

"Fermerebbe la didattica in presenza per 3 settimane, per salvare la vita di un suo caro?"» - chiede il CNNDDU che invita a riflettere sul fatto che «la scuola non è mai stata chiusa e non è mai stata ferma; che l'istruzione non si è mai arrestata, ma si è sviluppata con la didattica a distanza; che tutti i dirigenti hanno adottato misure per salvaguardare l'accesso alle risorse didattiche fornendo anche in comodato strumenti tecnologici a chi ne avesse bisogno».

«Sono, pertanto, avulse da ogni riscontro con la realtà, le propagande portate avanti da piccoli gruppi che sono sorti con l'intenzione spesso di porre le basi ad azioni legali finalizzate al rientro a scuola e che pubblicizzano dati irreali sull'adesione di gruppi di genitori spesso inesistenti. Si avvisano, in proposito, anche i Governatori che tali condotte appaiono finalizzate solo a realizzare una pressione mediatica su scelte che non possono basarsi sul mero timore di azioni legali.

Non c'è chi non veda all'orizzonte, dopo eventuali ricorsi sul rientro, anche ricorsi circa l'eliminazione dell'obbligo di mascherina in classe, come avvenuto recentemente, con l'Ordinanza Tar-Lazio n. 7468/2020 del 04.12.2020 che, addirittura, ribalta la strategia di ritorno definita a livello centrale, lasciando trasparire che la fascia di alunni meno indicata per il rientro e l'uso della mascherina in aula è quella con età tra i 6 e gli 11 anni».

Quali garanzie di tutela avranno i docenti e il personale scolastico? Quali garanzie le famiglie? Quante responsabilità dovranno assumere gli amministratori del territorio interessato?
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