
“La fede, il silenzio, i ricordi”: l’intervista a Giovanni Campanale dell’Arciconfraternita del Carmine
Dal primo ricordo da bambino all'impegno come confratello, il legame profondo di un uomo con l’Arciconfraternita del Carmine e con la tradizione della Settimana Santa ruvese
Giovanni, cosa ti ha spinto a entrare nell'Arciconfraternita del Carmine?
È un ricordo che porto nel cuore da tutta la vita. Ero un bambino, tenevo stretta la mano di mio padre mentre assistevo per la prima volta alla processione dei Misteri dalla chiesa del Carmine. Era un pomeriggio pieno di emozioni, di domande ingenue che si scolpiscono nell'anima. A sette anni, insieme a mio padre, entrai come portatore del "Legno Santo". Da quel giorno non ho più smesso. Nel 2011 sono diventato confratello, spinto soprattutto dall'amore per la Madonna del Monte Carmelo, che io chiamo affettuosamente Madre dei fiori. Ogni anno le dedico un allestimento floreale, come gesto personale di devozione. Far parte della confraternita significa fratellanza, condivisione, identità.
Hai vissuto tanti Venerdì Santi. C'è un ricordo che ti emoziona più degli altri?
Ce ne sono tanti. La Settimana Santa è un tempo intenso, che comincia già dal Mercoledì delle Ceneri e attraversa momenti forti come l'adorazione alla Croce nelle quattro confraternite. Poi ci sono i preparativi: l'allestimento delle statue, la Desolata, i turni notturni per vegliare. Da anni, con mio padre, ci occupiamo degli addobbi floreali per il Crocifisso, e più di recente, insieme a un amico confratello, anche per Gesù alla Colonna. Sono gesti semplici, ma pieni d'amore.
Come vivi la tua fede nella quotidianità confraternale, oltre la Settimana Santa?
La mia fede non si esaurisce nel Venerdì Santo. Vivo la confraternita tutto l'anno. E mi dispiace vedere che, purtroppo, negli ultimi tempi si tende a vivere l'appartenenza in modo superficiale, limitandosi ai momenti "clou". La vita confraternale va alimentata ogni giorno. I giovani, soprattutto, devono avere più spazio e possibilità di esprimersi, perché sono il futuro. Serve apertura, fiducia. La Settimana Santa ha bisogno della forza delle nuove generazioni, ma anche di un profondo rispetto per ciò che ci è stato trasmesso.
C'è un momento della processione che ti tocca più profondamente?
Senza dubbio l'uscita delle statue dei Misteri dalla chiesa. Ogni anno, quel momento mi emoziona come fosse la prima volta. Non è una processione facile da gestire: per quasi otto anni ho avuto il ruolo di decurione, guidando un corteo con oltre mille fedeli. È una grande responsabilità. Bisogna mantenere l'ordine, custodire il silenzio. È il giorno in cui tutti, nel cuore, piangiamo la morte di Gesù Cristo.
Hai espresso anche un pensiero critico sulla conservazione della tradizione...
Sì, e lo ribadisco con fermezza: "Se una cosa nasce così, così deve rimanere". Negli ultimi anni assistiamo a scelte discutibili che snaturano il senso profondo della nostra Settimana Santa. Si fanno modifiche alle statue, si introducono novità fuori luogo… ma conosciamo davvero il significato di "tradizione"? Non possiamo permettere che venga svilita da mode passeggere. Dobbiamo custodire le radici, non reciderle.
Cosa rappresenta per te essere confratello oggi?
È un onore, ma anche un impegno. La fede per me ha un valore grande. Far parte della più antica confraternita di Ruvo mi riempie di orgoglio. Mi sento protetto dalla Madonna del Carmelo, la Madre celeste venerata in tutto il mondo. Essere confratello non è solo vestire un abito: è portare avanti una storia, un'eredità spirituale, con rispetto, amore e verità.
Le parole di Giovanni Campanale ci restituiscono il senso vero di una devozione che non si improvvisa, ma si costruisce con il tempo, la famiglia, il cuore. In lui rivive lo spirito originario della Settimana Santa ruvese: non folclore, ma fede vissuta. Un invito, per tutti, a riscoprire il silenzio, la sobrietà e la forza della tradizione.
Foto di copertina di Joseph D'Ingeo