
«L'amore della mia vita si chiama Confraternita», l’intervista al confratello Antonio Marinelli
Antonio si racconta: dall’infanzia commossa alla guida della Confraternita, la storia di una devozione che ha segnato un’esistenza
In quell'attesa raccolta, tra statue velate e odore di incenso, incontriamo Antonio Marinelli, confratello della Confraternita di Santa Maria del Suffragio, già Priore, storico appassionato, testimone vivente di una fede che attraversa le generazioni. Le sue parole, come una preghiera lenta, ci guidano dentro una storia fatta di lacrime, promesse, abbracci e memorie incancellabili.
Antonio, quando nasce il tuo amore per la Confraternita?
Tutto comincia con mio padre. Ogni Sabato Santo, la nostra famiglia accompagnava la Madonna della Pietà nell'ultimo tratto della processione. Ricordo in particolare l'anno 1979: avevo nove anni e piansi a lungo su Corso Carafa. Mio padre mi aveva promesso che sarei diventato "fratello" del Purgatorio, ma anche quell'anno non fu possibile. Quelle lacrime, oggi lo so, erano già preghiera. Qualche giorno dopo la Pasqua, mio padre e mia madre mi portarono nella sacrestia della chiesa del Purgatorio. Ricordo il pendolo dell'orologio che scandiva un tempo sacro, la luce fioca, gli sguardi rispettosi. E un giovane sacerdote che mi accarezzò il capo: era Don Vincenzo Amenduni. Mi disse che sarei stato accolto, anche se non avevo ancora fatto la Prima Comunione, purché fossi stato fedele ai culti e ai doveri della confraternita.
Cosa ricordi della tua prima processione?
Come si è evoluto negli anni il tuo cammino confraternale?Avevo appena terminato l'anno di noviziato. Era il 1980. Finalmente, in abito confraternale, partecipai alla processione della Pietà. Fu un'emozione potente. La domenica successiva, nella Domenica in Albis del 14 aprile, insieme ad altri tredici novizi e novizie, giurai fedeltà alla Vergine del Suffragio e alla Confraternita. Rivedo ancora le lacrime di mia madre, lo sguardo fiero di mio padre, i sorrisi commossi dei confratelli. Da quel giorno, la chiesa del Purgatorio è diventata la mia casa spirituale.
Con la crescita, sono arrivati anche i primi incarichi: Decurione, Cassiere, Segretario, poi Maestro dei Novizi e infine Priore per due mandati. Ma più di ogni carica, ho sempre sentito forte il dovere del servizio. Ricordo i riti dell'Adorazione della Croce, quando da piccolo accompagnavo un confratello anziano, la preparazione dei simulacri il Lunedì Santo, l'allestimento del "Sepolcro" il giovedì. Ogni gesto, ogni silenzio, ogni canto è rimasto scolpito dentro di me. La confraternita non mi ha solo dato un posto nel corteo, mi ha dato una forma, un'etica, una direzione.
A un certo punto però, hai sentito il bisogno di andare oltre la partecipazione. Cosa ti ha spinto verso la ricerca storica?
Frequentare i riti non mi bastava più. Volevo capire perché facessimo tutto ciò. Sentivo il bisogno di conoscere le radici, la storia. Così ho cominciato a esplorare il vecchio archivio della Confraternita. Ho scoperto manoscritti, registri, lettere scritte a lume di candela, con l'inchiostro che pare ancora vivo. Ogni documento era una voce del passato che chiedeva di essere ascoltata. La storia della confraternita è diventata il mio secondo cammino di fede. Studiarla, divulgarla, proteggerla: anche questo è un modo per onorare la Madonna della Pietà.
Cos'è per te oggi la Confraternita?
È tutto. È stata la mia scuola di vita, di fede, di umanità. È la memoria dei miei genitori, è il profumo della cera che si scioglie al passo delle processioni, è la voce dei confratelli che non ci sono più. La Confraternita è la mia vocazione laica, il mio modo di servire Dio attraverso la bellezza composta della pietà popolare. Mi ha educato a vivere con rispetto, con disciplina, con amore per il prossimo. Ogni volta che entro in chiesa, sento che il mio cammino ha un senso. E ogni Sabato Santo, mentre aspetto la Pietà, il cuore mi batte come la prima volta.
Le parole di Antonio Marinelli sono una lezione di devozione autentica. Nel suo racconto, i riti della Settimana Santa si fanno carne e memoria, educazione e scelta di vita. E mentre il corteo della Pietà si prepara a solcare ancora una volta le strade di Ruvo, capiamo che dietro ogni passo c'è un'eredità viva, che non si limita al sacro, ma lo rende quotidiano. La Confraternita, per chi sa ascoltare, non è solo tradizione: è vocazione d'amore.