
Vita di città
L’intervista al maestro Rocco Di Rella, testimone di una tradizione che parla al cuore
"La musica è la voce della nostra fede": il pensiero del maestro sulla Settimana Santa a Ruvo di Puglia
Ruvo - giovedì 17 aprile 2025
Nel cuore della Settimana Santa, mentre le strade di Ruvo di Puglia si fanno silenziose, la musica diventa voce della fede, eco di una tradizione che si rinnova ogni anno. In questa atmosfera densa di spiritualità e memoria, incontriamo il maestro Rocco Di Rella, organista e direttore del Complesso Bandistico "B. Giandonato", testimone e custode di un patrimonio tra liturgia, arte e comunità.
Attraverso il suo racconto, ci accompagna in un viaggio che è personale e collettivo, intimo e pubblico: quello della Settimana, vissuta con lo sguardo del bambino che fu e con la responsabilità dell'uomo che oggi trasmette, attraverso la musica, l'eredità dei padri.
Maestro Di Rella, qual è il significato che ha per lei la Settimana Santa a Ruvo?
La Settimana Santa ha sempre rappresentato il cuore della nostra fede. A Ruvo, è un tempo sacro, vissuto in tutte le sue sfumature: dai riti processionali delle Confraternite alla partecipazione popolare, che si fa preghiera, emozione, pellegrinaggio dell'anima. Ricordo la mia infanzia, quando portavo il forcello nella processione dei Misteri, accanto alla Statua dell'Addolorata. Ogni passo, ogni sguardo, ogni suono aveva un senso intimo. Oggi, da musicista, continuo a viverla con la stessa intensità, forse ancor più forte: attraverso le note, accompagno una comunità intera in un cammino che va dalla Passione alla Risurrezione.
La musica è quindi più di un accompagnamento: è parte viva del rito?
Assolutamente sì. La musica, specie quella delle nostre marce funebri tradizionali, è una voce che tocca il cuore. Non è solo suono, è preghiera, meditazione, memoria. Da gennaio iniziamo le prove: gli ottoni, in particolare, richiedono esercizio costante. Ogni anno ripeto: "Dobbiamo metterci in esercizio per la Settimana Santa!". È diventato un mantra, un rito nel rito. Quest'anno abbiamo composto una nuova marcia, "Ex domine vita eterna": intensa, difficile, ma capace di parlare al cuore più di mille parole.
Quali sono stati i momenti più significativi di quest'anno?
Sono tanti, ma alcuni resteranno scolpiti. Penso al Concerto tradizionale nella Chiesa di San Domenico, "Ecce Lignum Crucis. Venite adoremus.", curato dalla Confraternita Purificazione Addolorata. Il momento dell'adorazione davanti all'antica Croce della Desolata — fine '700, legno pregiato e metallo cesellato — mentre un confratello e un portatore si inginocchiavano sulle note della mia marcia, è stato qualcosa di profondamente toccante.
Quest'anno avete anche affrontato il tema della speranza. In che modo?
Nel concerto "Sulla via della Croce, noi pellegrini di speranza", organizzato dalla Confraternita del Suffragio, abbiamo unito meditazioni e musica per offrire un messaggio positivo, ispirandoci alle parole di Papa Francesco in apertura dell'anno giubilare. È stato un momento di riflessione, dove la musica diventava speranza condivisa.
E non è mancata una forte attenzione anche ai temi sociali, come la parità di genere…
Sì, abbiamo voluto dare visibilità alle nostre musiciste e riflettere sul tema della non violenza. Lo abbiamo fatto con una vetrina espositiva nel centro città, dedicata alla nuova uniforme femminile. Il cappello e il fiocco rosso non sono solo elementi estetici: il fiocco, in particolare, è simbolo della lotta contro la violenza sulle donne. In un contesto tradizionalmente maschile come la banda, vogliamo affermare un messaggio chiaro: rispetto, uguaglianza, amore per l'altro.
Che eredità lascia questa Settimana Santa? E quale augurio sente di fare per il futuro?
Spero che le nostre tradizioni non si perdano nel rumore della modernità. Viviamo tempi in cui si guarda troppo all'apparenza e poco all'essenza. Ma io credo nei giovani, nella loro sensibilità. L'augurio che faccio è che raccolgano il testimone e lo custodiscano come un tesoro prezioso. La Settimana Santa non è un museo: è vita, fede, comunità. Va vissuta, tramandata, amata. E ogni nota, ogni gesto, ogni silenzio è un seme che, se ben piantato, continuerà a fiorire.
Nel volto e nelle parole del maestro Rocco Di Rella si legge l'amore per una tradizione che non è nostalgia, ma speranza viva. La sua musica — vibrante, devota, autentica — attraversa le vie di Ruvo come un filo invisibile che unisce riti e cuori. Perché, come ci ricorda, ciò che viene dal passato non è da archiviare, ma da custodire e tramandare. Con passione. Con fede. Con il suono profondo della memoria.
Attraverso il suo racconto, ci accompagna in un viaggio che è personale e collettivo, intimo e pubblico: quello della Settimana, vissuta con lo sguardo del bambino che fu e con la responsabilità dell'uomo che oggi trasmette, attraverso la musica, l'eredità dei padri.
Maestro Di Rella, qual è il significato che ha per lei la Settimana Santa a Ruvo?
La Settimana Santa ha sempre rappresentato il cuore della nostra fede. A Ruvo, è un tempo sacro, vissuto in tutte le sue sfumature: dai riti processionali delle Confraternite alla partecipazione popolare, che si fa preghiera, emozione, pellegrinaggio dell'anima. Ricordo la mia infanzia, quando portavo il forcello nella processione dei Misteri, accanto alla Statua dell'Addolorata. Ogni passo, ogni sguardo, ogni suono aveva un senso intimo. Oggi, da musicista, continuo a viverla con la stessa intensità, forse ancor più forte: attraverso le note, accompagno una comunità intera in un cammino che va dalla Passione alla Risurrezione.
La musica è quindi più di un accompagnamento: è parte viva del rito?
Assolutamente sì. La musica, specie quella delle nostre marce funebri tradizionali, è una voce che tocca il cuore. Non è solo suono, è preghiera, meditazione, memoria. Da gennaio iniziamo le prove: gli ottoni, in particolare, richiedono esercizio costante. Ogni anno ripeto: "Dobbiamo metterci in esercizio per la Settimana Santa!". È diventato un mantra, un rito nel rito. Quest'anno abbiamo composto una nuova marcia, "Ex domine vita eterna": intensa, difficile, ma capace di parlare al cuore più di mille parole.
Quali sono stati i momenti più significativi di quest'anno?
Sono tanti, ma alcuni resteranno scolpiti. Penso al Concerto tradizionale nella Chiesa di San Domenico, "Ecce Lignum Crucis. Venite adoremus.", curato dalla Confraternita Purificazione Addolorata. Il momento dell'adorazione davanti all'antica Croce della Desolata — fine '700, legno pregiato e metallo cesellato — mentre un confratello e un portatore si inginocchiavano sulle note della mia marcia, è stato qualcosa di profondamente toccante.
Quest'anno avete anche affrontato il tema della speranza. In che modo?
Nel concerto "Sulla via della Croce, noi pellegrini di speranza", organizzato dalla Confraternita del Suffragio, abbiamo unito meditazioni e musica per offrire un messaggio positivo, ispirandoci alle parole di Papa Francesco in apertura dell'anno giubilare. È stato un momento di riflessione, dove la musica diventava speranza condivisa.
E non è mancata una forte attenzione anche ai temi sociali, come la parità di genere…
Sì, abbiamo voluto dare visibilità alle nostre musiciste e riflettere sul tema della non violenza. Lo abbiamo fatto con una vetrina espositiva nel centro città, dedicata alla nuova uniforme femminile. Il cappello e il fiocco rosso non sono solo elementi estetici: il fiocco, in particolare, è simbolo della lotta contro la violenza sulle donne. In un contesto tradizionalmente maschile come la banda, vogliamo affermare un messaggio chiaro: rispetto, uguaglianza, amore per l'altro.
Che eredità lascia questa Settimana Santa? E quale augurio sente di fare per il futuro?
Spero che le nostre tradizioni non si perdano nel rumore della modernità. Viviamo tempi in cui si guarda troppo all'apparenza e poco all'essenza. Ma io credo nei giovani, nella loro sensibilità. L'augurio che faccio è che raccolgano il testimone e lo custodiscano come un tesoro prezioso. La Settimana Santa non è un museo: è vita, fede, comunità. Va vissuta, tramandata, amata. E ogni nota, ogni gesto, ogni silenzio è un seme che, se ben piantato, continuerà a fiorire.
Nel volto e nelle parole del maestro Rocco Di Rella si legge l'amore per una tradizione che non è nostalgia, ma speranza viva. La sua musica — vibrante, devota, autentica — attraversa le vie di Ruvo come un filo invisibile che unisce riti e cuori. Perché, come ci ricorda, ciò che viene dal passato non è da archiviare, ma da custodire e tramandare. Con passione. Con fede. Con il suono profondo della memoria.