
Vita di città
Storia Viva - La cotognata: un’antica dolcezza della tradizione (anche) ruvese
Un dolce antico tra memoria monastica e identità ruvese
Ruvo - martedì 16 dicembre 2025
La cotognata è uno di quei dolci che attraversano i secoli senza perdere il loro significato più profondo. E' un racconto di stagioni, di lentezza e di saperi tramandati, custoditi nelle case e nei luoghi della vita religiosa. Diffusa in molte parti d'Italia, la cotognata assume a Ruvo di Puglia un valore particolare, diventando elemento identitario e prodotto di eccellenza destinato spesso a viaggiare lontano.
Nel 1857 Salvatore Fenicia, nella sua monografia Ruvo di Magna Grecia, affrontando con apparente leggerezza quelli che definisce "argomenti di poca importanza", osserva che i Ruvesi non sono popolo incline alla gola e che la grande gastronomia antica non ha mai trovato qui particolare fortuna. E tuttavia, quasi a correggere se stesso, ammette che lo studio e la conoscenza dei cibi non possono fare a meno di citare la rinomata cotognata di Ruvo, precisando come essa venisse confezionata in quantità tali da essere destinata quasi interamente fuori dal territorio cittadino. In poche righe Fenicia restituisce l'immagine di una comunità operosa, sobria nei costumi, ma capace di produrre un dolce di grande qualità, apprezzato ben oltre i confini locali.
A completare e arricchire questo quadro interviene il racconto di Giacomo Ursi che, nelle sue Ricerche storiche sull'antichità ed origine di Ruvo del 1835, descrive con maggiore dettaglio il ruolo svolto dalle monache benedettine di San Matteo. Nel monastero ruvese, oggi scomparso, la cotognata non era soltanto preparata, ma trasformata in autentica opera d'arte. Le monache modellavano la pasta in statue, gigli, cagnolini, triglie, baulletti e altre forme minute e raffinate, lavori tanto ben eseguiti da essere inviati a Napoli, a Roma e in luoghi lontanissimi. La cotognata diventava così dono prezioso, espressione di abilità manuale, devozione e gusto estetico.
Con il tempo questa tradizione uscì dai chiostri e si radicò anche nella dimensione domestica. A Ruvo, come in molte comunità del Mezzogiorno, la cotognata divenne uno dei dolci tipici del Natale, preparata in autunno e lasciata riposare per essere servita durante le festività. La sua lunga conservazione la rendeva ideale per il periodo natalizio, quando il dolce non era consumo quotidiano, ma gesto di accoglienza e condivisione.
La preparazione tradizionale segue ancora oggi un ritmo antico. Le mele cotogne, dure e profumate, vengono cotte lentamente finché la polpa si ammorbidisce e prende un colore caldo. Ridotta in crema, la frutta viene rimescolata con pazienza, lasciata addensare sul fuoco e poi stesa ad asciugare, affidandosi al tempo più che alle misure. È un dolce che nasce dall'attesa e che proprio per questo si lega in modo naturale al Natale, tempo di preparazione e di silenziosa cura.
Tra fonti storiche, memorie monastiche e tradizione familiare, la cotognata si rivela così una testimonianza della storia gastronomica rubastina. Un dolce sobrio e insieme raffinato, capace di raccontare una città laboriosa e discreta, che ha saputo trasformare un frutto aspro in una dolcezza destinata a durare nel tempo e nella memoria collettiva.
Nel 1857 Salvatore Fenicia, nella sua monografia Ruvo di Magna Grecia, affrontando con apparente leggerezza quelli che definisce "argomenti di poca importanza", osserva che i Ruvesi non sono popolo incline alla gola e che la grande gastronomia antica non ha mai trovato qui particolare fortuna. E tuttavia, quasi a correggere se stesso, ammette che lo studio e la conoscenza dei cibi non possono fare a meno di citare la rinomata cotognata di Ruvo, precisando come essa venisse confezionata in quantità tali da essere destinata quasi interamente fuori dal territorio cittadino. In poche righe Fenicia restituisce l'immagine di una comunità operosa, sobria nei costumi, ma capace di produrre un dolce di grande qualità, apprezzato ben oltre i confini locali.
A completare e arricchire questo quadro interviene il racconto di Giacomo Ursi che, nelle sue Ricerche storiche sull'antichità ed origine di Ruvo del 1835, descrive con maggiore dettaglio il ruolo svolto dalle monache benedettine di San Matteo. Nel monastero ruvese, oggi scomparso, la cotognata non era soltanto preparata, ma trasformata in autentica opera d'arte. Le monache modellavano la pasta in statue, gigli, cagnolini, triglie, baulletti e altre forme minute e raffinate, lavori tanto ben eseguiti da essere inviati a Napoli, a Roma e in luoghi lontanissimi. La cotognata diventava così dono prezioso, espressione di abilità manuale, devozione e gusto estetico.
Con il tempo questa tradizione uscì dai chiostri e si radicò anche nella dimensione domestica. A Ruvo, come in molte comunità del Mezzogiorno, la cotognata divenne uno dei dolci tipici del Natale, preparata in autunno e lasciata riposare per essere servita durante le festività. La sua lunga conservazione la rendeva ideale per il periodo natalizio, quando il dolce non era consumo quotidiano, ma gesto di accoglienza e condivisione.
La preparazione tradizionale segue ancora oggi un ritmo antico. Le mele cotogne, dure e profumate, vengono cotte lentamente finché la polpa si ammorbidisce e prende un colore caldo. Ridotta in crema, la frutta viene rimescolata con pazienza, lasciata addensare sul fuoco e poi stesa ad asciugare, affidandosi al tempo più che alle misure. È un dolce che nasce dall'attesa e che proprio per questo si lega in modo naturale al Natale, tempo di preparazione e di silenziosa cura.
Tra fonti storiche, memorie monastiche e tradizione familiare, la cotognata si rivela così una testimonianza della storia gastronomica rubastina. Un dolce sobrio e insieme raffinato, capace di raccontare una città laboriosa e discreta, che ha saputo trasformare un frutto aspro in una dolcezza destinata a durare nel tempo e nella memoria collettiva.



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