Storia Viva - Ruvo 1883
Storia Viva - Ruvo 1883
Vita di città

Storia Viva - Ruvo di Puglia, 1883: Ritratto di una città operosa

Fra mestieri estinti e botteghe dimenticate

Ci sono luoghi che si raccontano non soltanto attraverso i monumenti o le cronache politiche, ma tramite i nomi incisi sulle insegne di legno, il clangore del martello sul ferro incandescente, il profumo del pane cotto a legna che si diffonde alle prime luci dell'alba. Ruvo di Puglia, nel 1883, era un mosaico vivo di queste impressioni: un microcosmo fatto di artigiani, commercianti, sensali, osti, fabbri, che tramandavano saperi antichi lungo le arterie polverose del centro storico.

Nel prezioso Annuario storico-statistico-commerciale della Terra di Bari di quell'anno si cela un affresco dettagliato della vita economica e sociale ruvese. Non un semplice elenco di nomi, ma una sinfonia di mestieri che oggi sopravvivono a malapena nella memoria orale, travolti dall'avanzare impetuoso della tecnologia e dalla mutazione dei bisogni collettivi. In quelle pagine s'intravede una Ruvo viva, concreta, che merita di essere ascoltata.

La città, all'epoca, era attivissima dal punto di vista commerciale ed industriale.

Due alberghi e trattorie accoglievano i viandanti: "Al buon gusto" di Michele Tumolo e "Progresso" di Giovanni Nanni.

Nel cuore della città, echeggiavano i colpi dei fabbri, Bucci Giovanni e Pasquale, Giuseppe D'Ingeo, la famiglia Leone, e lo scalpello dei falegnami. Antonio e Giuseppe Fucilli, Leonardo e Luigi Terzulli, Nicola Davanzo erano nomi noti, nomi di mani che lavoravano il legno con una maestria che oggi sopravvive solo nelle botteghe di eccellenza.

I sarti, come Campanale Giacinto, Marciano Alessandro e Pietro, Zonni Giuseppe, cucivano abiti da uomo su misura, quando il vestiario era identità e non moda effimera. Numerosissimi i forni, tenuti da Pasquale e Sergio Bruni, Antonio Bucci, Teresa De Palo, Pompeo Di Terlizzi, Mauro Leuce, Vito Zitolo, custodivano l'arte antica del lievito madre e del forno a legna.

Anche le attività alimentari esprimevano una varietà ormai impensabile: caseifici, venditori di dolci, farine, formaggi, pesci secchi, salumi, portavano sulle tavole sapori intensi, autentici, non ancora appiattiti dalla standardizzazione industriale.
Numerosi cittadini producevano candele steariche realizzate utilizzando la stearina, un tipo di grasso solido che si ottiene da grassi animali o vegetali.

Anche il carradore, come Michele Altamura, aveva un ruolo essenziale: costruiva e riparava carri agricoli, strumenti vitali per la civiltà contadina.

Accanto ai mestieri manuali, si affermavano le botteghe coloniali, una sorta di antenato del moderno emporio. In queste attività si vendevano una vasta gamma di prodotti, spesso di origine coloniale, oltre a articoli per la casa e la salute. Si possono immaginare i negozi coloniali come delle vere e proprie drogherie, che offrivano un po' di tutto, dai dolciumi agli articoli per la casa, passando per i prodotti alimentari. All'epoca erano gestiti da De Leo Vincenzo, Di Gioia Domenico, Gentile Francesco e Giuseppe, Gennaro Leo, Gentile Isabella e Minafra Gioacchino.

La salute pubblica era affidata a un importante manipolo di professionisti: dai dentisti Brucoli Rocco, Pellegrini Giovanni e Zonni Domenico, ai farmacisti Altamura Francesco, Calè Pasquale, Chirola Gennaro, De Chiaro Arcangelo, De Palo Luigi, De Zio Salvatore, Mastrorilli Adamo e Simia Biagio. Alle donne era riservato il ruolo di ostetrica che, a quei tempi, si occupava essenzialmente dei parti in casa. Erano in servizio le signore Palumbo Candida, Angarano Letizia, Parziale Rosa e Trapani Rita. La salute degli animali, importantissima per una città agricola come Ruvo, era affidata al veterinario Calè Pasquale.

Della cultura, talvolta popolare, si occupavano in senso lato i legatori di libri Campanale Domenico e Campanale Raffaele. L'arte pirotecnica, invece, vedeva i suoi unici esponenti cittadini nel pallonista Raffaele Campanale, noto realizzatore di globi areostati di ogni grandezza e forma, e nei pirotecnici Scarongella Giuseppe & Nicola.

Questa Ruvo di Puglia non è un reperto archeologico, né una nostalgia sterile. È un'eredità viva, che pulsa nelle pietre delle case, nei nomi di famiglia, nei gesti che ancora sopravvivono in alcuni laboratori artigiani. Ripercorrere il suo passato economico e umano, significa riscoprire una grammatica dimenticata: quella della lentezza operosa, della relazione personale, dell'identità costruita sul fare. In un tempo in cui il lavoro tende a diventare virtuale e impersonale, la città di Ruvo nel 1883 ci ricorda che ogni mestiere, anche il più umile, è una forma di cultura.

Fonte: Annuario storico statistico commerciale di Bari e provincia, 1883
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