Profughi a Ruvo durante la Grande Guerra
Profughi a Ruvo durante la Grande Guerra
Vita di città

Storia Viva - Ruvo di Puglia e l’accoglienza dei profughi veneti nella Grande Guerra

Una pagina di umanità nella tragedia della Prima Guerra Mondiale

Il 24 maggio, data simbolica che segna l'entrata dell'Italia nella Prima Guerra Mondiale, ci offre l'occasione di volgere lo sguardo a una pagina poco nota ma profondamente umana della storia ruvese. In quegli anni drammatici, mentre il fragore del conflitto sconvolgeva il Nord Italia, Ruvo di Puglia – rimasta ai margini delle operazioni belliche – divenne terra di rifugio per numerosi profughi provenienti dal Veneto.

Tra le testimonianze più toccanti giunte fino a noi, spicca quella di Rosa Cortesia, originaria di Vidor, piccolo comune travolto dagli eventi bellici. Il suo racconto si apre con una scena carica di pathos:
«Il parroco di Vidor, don Vittorino Costa, ha suonato la campana e tutti in paese si sono radunati. "Per conto mio la guerra la passa per di qua, ci conviene andare tutti di là del Piave", ha detto. E siamo partiti».

Inizia così un lungo e faticoso viaggio in treno – due giorni e tre notti – che condurrà Rosa, la sua famiglia e altre famiglie di Vidor e Cornuda fino a Ruvo di Puglia, dove il destino offrirà loro un'inaspettata parentesi di pace.

All'arrivo, i profughi furono accolti con grande calore. Il primo approdo fu la caserma dei carabinieri, dove li attendeva una tavola imbandita con frutti esotici e locali: «C'era soprattutto frutta: arance, pistacchi, fichi…». Seguirono la sistemazione provvisoria nella chiesa di San Domenico e infine il trasferimento presso l'antico palazzo vescovile, adattato ad alloggio temporaneo.
«Il posto era bello, però acqua niente.Siamo stati veramente bene. L'acqua del pozzo era buona», ricorda Rosa con tono affettuoso.

Il gruppo di esuli era composto da dieci famiglie venete, cinque provenienti da Vidor e cinque da Cornuda. Nonostante le iniziali difficoltà legate alla lontananza, alla lingua e alle abitudini alimentari, gli ospiti trovarono nella popolazione ruvese una comunità pronta a offrire sostegno materiale e conforto morale. I ruvesi, ignari del significato della parola "profugo", li ribattezzarono con semplicità "profùmi", accogliendoli con generi alimentari, piccoli doni e affetto sincero.

Le sorelle Cortesia ci restituiscono anche vivide immagini della quotidianità dell'epoca: la scala a pioli che conduceva al campanile, il suono manuale delle campane, il latte distribuito per le vie con la vacca al seguito, la difficoltà ad accettare minestroni di ceci e fave che risultavano pesanti per stomaci abituati a polenta e latte. Grazie a un sussidio, le famiglie riuscirono presto a cucinare per conto proprio.

Ma l'accoglienza non si fermava al necessario: anche le famiglie più agiate aprirono le loro case. Rosa ricorda con emozione i pranzi domenicali offerti da nobili del luogo, come la signora Caputi, che ospitava i bambini nella sua villa e a Natale distribuiva scarpe, calze e doni.

«Mi sembra di star mangiandolo ancora adesso», racconta Rosa, evocando un pranzo memorabile a base di strascinati, formaggi, carne e dolci, serviti da camerieri.
Questo frammento di memoria, apparentemente semplice, è in realtà prezioso: ci parla di una città del Sud che, pur lontana dal fronte, fu partecipe del dolore e della speranza dell'Italia in guerra. I racconti delle sorelle Cortesia sono un ponte tra due mondi – Veneto e Puglia – uniti dall'esperienza della solidarietà e della condivisione.

Oggi Ruvo di Puglia può dunque celebrare la memoria di una comunità che seppe accogliere e prendersi cura dei più fragili. Perché anche lontano dal fragore delle armi, si può fare la storia.

Fonte: http://camillopavan.blogspot.it/
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