
Vita di città
Storia Viva - La chiesa di Sant’Arcangelo a Ruvo di Puglia: l’eco di un culto dimenticato
Un toponimo a ricordo di una chiesa scomparsa
Ruvo - mercoledì 18 giugno 2025
Di alcune chiese si ricorda l'architettura, di altre i santi, i racconti popolari, le liturgie scomparse. Della chiesa di Sant'Arcangelo, a Ruvo di Puglia, resta invece soltanto un nome, un toponimo silenzioso incastonato in un angolo del centro antico: Largo Sant'Arcangelo. Un lembo di città che conserva tracce sottili, frammenti dispersi di una storia che sfugge, che non si lascia afferrare con certezza. Eppure, proprio questo suo svanire la rende affascinante.
Non esiste, a oggi, alcuna struttura fisica dell'esistenza della chiesa di Sant'Arcangelo. Eppure – come spesso accade – il vuoto lascia intuire una presenza.
Un indizio compare nel Catasto Onciario redatto a metà Settecento: si fa menzione di un "beneficio" intitolato a Sant'Arcangelo, con sede nella chiesa che all'epoca risultava in stato di rovina, i cui proventi risultano affidati in amministrazione a soggetti legati alla famiglia del marchese Rocca di Napoli. Si trattava forse di un bene residuale, una proprietà ecclesiastica ormai priva di funzione cultuale. Ma proprio quella condizione di rovina registrata con freddezza amministrativa sembra indicare l'esistenza pregressa di un edificio sacro, seppur già allora svuotato di senso e di forma.
Nel tentativo di ricostruirne l'identità, alcuni hanno ipotizzato un legame con un antico monastero femminile, forse delle suore della Maddalena. Ma l'ipotesi appare debole: non si ha traccia, in quell'epoca e in quell'area, di una loro presenza documentata. Più convincente appare invece la lettura simbolica di uno stemma in pietra, oggi visibile tra via Specchia e Largo Sant'Arcangelo. Le conchiglie scolpite, più che richiamare ordini religiosi femminili, sembrano appartenere all'araldica familiare della famiglia Rocca, testimoniando un legame con l'antico patronato della chiesa scomparsa.
Una bolla papale del 1123, studiata da Kehr e Duchesne, menziona una chiesa dedicata a San Michele collocata "intra civitatem Rubi", sotto la giurisdizione dell'abbazia di Santa Maria in Montepeloso, oggi Irsina. Alcuni studiosi hanno suggerito che possa trattarsi della stessa chiesa poi nota come Sant'Arcangelo. Ma si tratta di un'ipotesi, priva di riscontri strutturali o testuali che consentano un'identificazione certa.
Quel che è certo è che, già nell'Ottocento, nessun edificio sacro veniva più rappresentato nelle mappe catastali della zona. L'assenza topografica si somma, quindi, a quella documentaria.
Eppure, raccontare della chiesa di Sant'Arcangelo significa tentare un esercizio diverso: non la ricostruzione storica in senso stretto, ma l'ascolto di una traccia che resiste nel toponimo, nei margini del tessuto urbano, nei simboli che appaiono dove non li si cercava più. Non ogni luogo merita d'essere riscoperto per ciò che mostra. Alcuni luoghi meritano perché, pur svaniti, continuano a interrogarci.
Non esiste, a oggi, alcuna struttura fisica dell'esistenza della chiesa di Sant'Arcangelo. Eppure – come spesso accade – il vuoto lascia intuire una presenza.
Un indizio compare nel Catasto Onciario redatto a metà Settecento: si fa menzione di un "beneficio" intitolato a Sant'Arcangelo, con sede nella chiesa che all'epoca risultava in stato di rovina, i cui proventi risultano affidati in amministrazione a soggetti legati alla famiglia del marchese Rocca di Napoli. Si trattava forse di un bene residuale, una proprietà ecclesiastica ormai priva di funzione cultuale. Ma proprio quella condizione di rovina registrata con freddezza amministrativa sembra indicare l'esistenza pregressa di un edificio sacro, seppur già allora svuotato di senso e di forma.
Nel tentativo di ricostruirne l'identità, alcuni hanno ipotizzato un legame con un antico monastero femminile, forse delle suore della Maddalena. Ma l'ipotesi appare debole: non si ha traccia, in quell'epoca e in quell'area, di una loro presenza documentata. Più convincente appare invece la lettura simbolica di uno stemma in pietra, oggi visibile tra via Specchia e Largo Sant'Arcangelo. Le conchiglie scolpite, più che richiamare ordini religiosi femminili, sembrano appartenere all'araldica familiare della famiglia Rocca, testimoniando un legame con l'antico patronato della chiesa scomparsa.
Una bolla papale del 1123, studiata da Kehr e Duchesne, menziona una chiesa dedicata a San Michele collocata "intra civitatem Rubi", sotto la giurisdizione dell'abbazia di Santa Maria in Montepeloso, oggi Irsina. Alcuni studiosi hanno suggerito che possa trattarsi della stessa chiesa poi nota come Sant'Arcangelo. Ma si tratta di un'ipotesi, priva di riscontri strutturali o testuali che consentano un'identificazione certa.
Quel che è certo è che, già nell'Ottocento, nessun edificio sacro veniva più rappresentato nelle mappe catastali della zona. L'assenza topografica si somma, quindi, a quella documentaria.
Eppure, raccontare della chiesa di Sant'Arcangelo significa tentare un esercizio diverso: non la ricostruzione storica in senso stretto, ma l'ascolto di una traccia che resiste nel toponimo, nei margini del tessuto urbano, nei simboli che appaiono dove non li si cercava più. Non ogni luogo merita d'essere riscoperto per ciò che mostra. Alcuni luoghi meritano perché, pur svaniti, continuano a interrogarci.